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Note sulla Fortuna dei Trattati del Petrarca in un Testo Settecentista Portoghese

 

Pedro Garcez Ghirardi
Prof. Livre Docente DLM-FFLCHUSP

 

Ancor oggi, alle soglie del settimo centenario di nascita del Petrarca, non pare abbastanza ricordato che egli è stato maestro del pensiero occidentale e che i temi dei suoi trattati hanno avuto un lungo e duraturo influsso sugli intellettuali. La bibliografia sul Petrarca è certo vastissima negli ambienti accademici, e ovviamente non solo italiani, ma riguarda, prevalentemente l'ineguagliabile lirico. Se dovessimo, però, sfogliare le tesi recentemente elaborate fuori d'Italia e dedicate, poniamo, allo sviluppo delle concezioni etiche in Occidente, forse non troveremmo neanche qualche frettoloso accenno alle pur importantissime lezioni dei suoi grandi trattati latini, d'ispirazione ciceroniana ed agostiniana.

Tale inspiegabile mancanza d'attenzione per un pensiero di straordinaria fecondità veniva così denunciata, più di trent'anni or sono, da un insigne italianista portoghese: "A crítica não tem relevado suficientemente que os tratados morais de Petrarca contêm, em esboço, toda a complexa problemática que irá preocupar todos os humanistas até Erasmo [...]. No Secretum, no De remediis utriusque fortunae, no De vita solitaria, nas Epistolae e nas suas próprias obras polêmicas, podemos detectar todos os temas e problemas que irão, durante mais de dois séculos, ser glosados em todos os tons por filósofos e moralistas, por doutrinários políticos e até por teólogos" (1).

La testimonianza di uno studioso di lingua portoghese è particolarmente rilevante. Infatti, come è noto - e non è il caso di ricordare nomi come il Farinelli o il Vossler - forte e duratura fu la presenza del pensiero del Petrarca nel mondo iberico. Del pensiero, ripetiamo, in quanto la semplice menzione dei nomi di lirici quali Camões e Garcilaso crediamo ci dispensi dall'aggiungere altro sull'importanza del suo modello poetico.

Per quanto riguarda specificamente il Portogallo, basti qui accennare al notissimo testo pubblicato nel 1515 (ma probabilmente tardoquattrocentesco), Boosco deleytoso. Quest'opera, come dichiarava chi ne curò un'importante edizione critica, "esclarece um capítulo de nossa história literária, pois em escrito algum português é tão acentuada como nele a influência do De vita solitaria de Petrarca" (2). 

Ma se sulla presenza del Petrarca latino nel Boosco deleytoso e in altri testi portoghesi non mancano notevoli studi (3), bisogna riconoscere che tali studi sono ben lungi dal rivaleggiare con la rifessione sull' importanza del petrarchismo lirico in Portogallo, particolarmente per quanto si riferisce a Camões. Eppure, anche i temi centrali dei trattati del Petrarca, particolarmente quello dell'apologia della vita in solitudine, continuarono in grande onore fra gli scrittori portoghesi. Chi ne pretendesse una conferma, basta che sfogli le pagine di Heitor Pinto, e non solo al suo "Diálogo da vida solitária".

Chi volesse, poi, giudicare della permanenza dei temi petrarcheschi fra i trattatisti portoghesi, dovrebbe percorrere l'opera del grande Manuel Bernardes (1644-1710). Nello scrittore oratoriano, modello indiscusso della prosa portoghese, si troverà un conoscitore e apprezzatore dell'insegnamento morale del Petrarca. Queste rapide considerazioni non possono far altro che indicare qualche pagina del capolavoro di Bernardes, la Nova Floresta, dalle quali si può argomentare l'estensione delle letture petrarchesche dell'autore.

Apriamo, quindi, la Nova Floresta, intenta, come si sa, all' utile dulci e a procurare momenti di svago attraverso la lettura di esempi di azioni e detti illustri, commentati con mente cristiana. E partiamo da una pagina dove si fa una riflessione morale sulla menzogna, corredata da alquanti simili barocchi. Vi troviamo pure una parafrasi di un brano del De vita solitaria, e cioè: "a mentira [compara-se] ao vidro, porque é muito fácil e diáfana, se nos não queremos enganar com ela, como disse o Petrarca: Simulata illico patescunt, et argutum etiam mendacium vero cedit, coramque pressius intuente diaphanum est" (4).

Come già il Boosco deleytoso, anche la Nova Floresta ha presente il De vita solitaria. Ma se questo è forse per la cultura portoghese l'opera emblematica del pensiero petrarchesco, pure non mancano riferimenti ad altri trattati. Altre allusioni del Bernardes si possono subito ricordare, sempre nell'ambito del suo citato capolavoro.

Tra le allusioni che ora ci interessano, mette conto di registrare una menzione al De remediis utriusque fortunae (o De remediis fortuitorum, come preferisce il Bernardes). A proposito di questo trattato, ed esaltando la superiorità delle virtù sui beni mondani, scrive l'oratoriano che "o crítico Petrarca, com a discrição costumada, diz que bem pode o pai fazer rico ao filho que ama, porém não o pode fazer ilustre" (5). Si noti l'inciso, molto significativo se si tien presente che valore avessero, nella cultura barocca iberica, como "discrição" e "discreto".

Ma le letture petrarchesche dell'oratoriano non si fermavano lì. Ed ecco un passo in cui viene citata come De memoria, un' opera che, se non erriamo, altra non è che i Rerum memorandarum libri. Sulla facoltà umana della memoria, comunque, discorre Manuel Bernardes, intento adesso a dilettare il lettore con un aneddoto. A tale scopo trae dal Petrarca il seguente curioso esempio:

"Alguns perderam a memória por casos repentinos, e também por casos repentinos a acharam outros. Destes seja exemplo o papa Clemente VI, que, por uma ferida casual que teve no alto da cabeça, quanto lia lhe ficava nela fielmente" (6).

Se si confermerà che questo rimando, comunque espressamente petrarchesco, deriva dal trattato al quale alludevamo, non sarà da escludere l'ipotesi di un almeno lontano influsso del Petrarca sulla stessa struttura della Nova Floresta, che, come è stato ricordato, raccoglie detti e aneddoti di personaggi illustri.

Per tacere di altri riferimenti, diciamo di uno che ci pare particolarmente interessante, in quanto presenta il Petrarca, oltre che come un maestro di "discrição", come autorevole scrittore spirituale. Ma forse è bene prima ricordare, a questo punto, che mentre sono stati studiati i rapporti dell'oratoriano con i mistici nordeuropei, molto minore attenzione, a nostro avviso, hanno ricevuto i suoi legami con la mistica italiana.

Eppure, per non dire altro, la sua appartenenza ad una congregazione religiosa di origine italiana, come l'Oratorio filippino, e la sua conoscenza degli scritti del santo fondatore basterebbe per darcene un indizio significativo. Ma bisogna subito aggiungere che a Bernardes si deve la traduzione portoghese di un trattato ascetico-mistico del Cinquecento italiano. Infatti, a lui si deve se il Paradiso dei contemplativi, del francescano Bartolomeo Cambi da Salutio, è annoverato fra le opere classiche della letteratura portoghese. Chi volesse poi cercare, nella Nova Floresta e altrove, riferimenti ai mistici italiani (non trascurabile qualche allusione alla carmelitana Maria Maddalena de' Pazzi, i cui scritti erano stati poco prima coinvolti nelle polemiche sul Quietismo), sarebbe forse tentato di approfondire l'argomento dei rapporti tra Bernardes e i focolai italiani di spiritualità post-tridentina.

Ma ritorniamo senz'altro al riferimento al Petrarca, dal portoghese presentato come maestro spirituale. È un riferimento notevole, prima di tutto, per il contesto in cui si trova: la citazione petrarchesca chiude un elenco di eminenti dottori cristiani.

Bernardes, infatti, proponendosi di mettere in guardia contro i pericoli morali dei balli, si richiama alla "doutrina em que conspiram os Santos Padres, a quem devemos atender, como a mestres dados por Deus para formar e reger os costumes do cristianismo" (7). Avendo, quindi, menzionato le opinioni autorevolissime di Padri della Chiesa quali San Basilio e Sant'Ambrogio, aggiunge subito: "Quero ajuntar a estas autoridades a de Francisco Petrarca, porque, suposto não é santo nem Padre da Igreja, foi varão timorato e mui discreto, como se verá das suas palavras, em que descreve bem que coisa são bailes e os frutos que deles se colhem".

Sono parole seguite da una lunga citazione del De Remediis. Contrariamente, però, a quanto fa per i testi dei Santi Padri, Bernardes non si limita a riprodurre in latino il passo petrarchesco, ma lo traduce subito perché, come dichiara, tutti possano giovarsene ("para que o logrem todos") Ecco, quindi, come tradotto dal classico scrittore portoghese, un brano petrarchesco di condanna dei balli:

"Ali andam livres as mãos, livres os olhos, livres voam as palavras. Soa muito estrondo dos pés, muito cantar desentoado, muito alarido dos concorrentes, muito ímpeto dos que giram e emparelham, levantando grande poeira, até que chegue (como ordinariamente sucede) aquela inimiga da honestidade e sócia das maldades, que é a noite. Eis aqui como se desterra o temor e o pejo e com que se estimula a luxúria e se concedem licenças amplas à relaxação. E tudo isto (falando como quem não é fácil de se enganar) é o que vós intitulais com o apelido de um desenfado singelo e inocente, disfarçando o pecado com a máscara de jogo e entretenimento. E, suposto que só entre homens ou só entre mulheres não tenha tanto perigo, todavia ali aprndem separados o que depois hão-de exercitar juntos, a modo de discípulos, que, em ausência de mestre, decoram o que hão de repetir quando venha" (8). Ribadisce in conclusione l'oratoriano, che non ha fatto altro che ripetere parole dei "Santos Padres e varões judiciosos".

Alla propria traduzione premette Bernardes, come si è visto, che la fa per estenderne l'utilità anche a quelli che il latino non sanno. Che è quanto dire che, secondo il traduttore, la lezione del Petrarca era da proporre alla meditazione non dei soli dotti, ma del popolo cristiano tutto. Non occorre altro, ci pare, per capire in quale considerazione fossero presso il Bernardes gli scritti di questo "discreto", di questo esempio di "varões judiciosos" degni di stare accanto ai "Santos Padres".

Bastino questi spunti per far vedere che la presenza del Petrarca nel mondo iberico va ben oltre quanto si è soliti supporre. Si tratta di una presenza che trascende di gran lunga il mondo della poesia lirica o anche quello dell'erudizione umanistica, per rientrare in quello della spiritualità vera e propria. Rimane quindi l'urgenza di meglio esplorare questo vasto territorio culturale. Per quel che riguarda specificamente Bernardes, inoltre, sarebbe auspicabile una ricerca sulle origini, l'estensioni, le articolazioni della presenza dei trattati latini del Petrarca. Si troverà, forse, che il pessimismo agostiniano di certe pagine petrarchesche sarà stato privilegiato dall'oratoriano, mentre eventualmente sottaciuti rimangono i fermenti ottimistici di altre pagine petrarchesche, nate dall'entusiasmo dell' umanista cristiano). E si è già detto sul Rerum memorandarum come una delle possibili fonti della struttura stessa della Nova Floresta.

Tutto questo, comunque, esula dall'ambito di questo brevissimo scritto, destinato a attirare l'attenzione degli studenti universitari brasiliani su un aspetto tanto importante, eppure qui quasi ignoto, dell'opera del Petrarca. Colui che, a settecento anni dalla nascita, fra noi rimane quasi sempre ricordato solo per il suo massimo titolo di gloria letteraria: quello di eccelso poeta di madonna Laura.

Note

(1) José V. de Pina Martins, "Humanismo e humanistas", in Cultura Italiana. Lisboa, Verbo, 1971, p. 154. 

(2) Augusto Magne, "Introdução" all'edizione critica del Boosco deleytoso. Rio de Janeiro, Instituto Nacional do Livro, 1950, vol. I, p. III.

(3) Si veda, p. es., Mario Martins, "Petrarca no Boosco deleytoso", in Estudos de literatura medieval, Braga, Livraria Cruz, 1956.

(4) Manuel Bernardes, Nova Floresta, Lisboa e Porto, Lello, 1949, vol. V, p. 364 [non è meglio precisato dall'autore il passo petrarchesco citato]

(5) id., op. cit., vol. III, p. 214 [l'autore indica come fonte "lib. I, dial. 16"].

(6) id., op. cit., vol. II, p. 238 [citazione non meglio precisata dal Bernardes]

(7) id., op. cit., vol. II, p. 15.

(8) id., op. cit., vol. II, p. 17-18 [Bernardes rimanda al dialogo 24. Le parole latine tradotte cominciano con: "Liberae ibi manus, liberi oculi" ecc.].