Ariosto in Brasile: cenni sulla fortuna del Orlando Furioso
Pedro Garcez Ghirardi
Universidade de São Paulo
Le considerazioni qui presentate riassumono alcuni aspetti del prologo alla mia traduzione di canti ed episodi dell'Orlando Furioso, di prossima pubblicazione. Ma anche un sommario esame del panorama dell'incidenza del capolavoro ariostesco nella cultura brasiliana farà sembrare inadeguato il titolo di quest'articolo. Infatti, pare il piuttosto il caso di parlare di sfortuna dell'Orlando Furioso in Brasile. Sfortuna non solo presso i lettori, ma bensì presso la critica, soprattutto lungo questo Novecento, appena finito.
Approfondire le ragioni di questa dimenticanza dell'Ariosto, richiederebbe uno sguardo alla ricezione ariostesca in Portogallo, specialmente a partire da Camões. Dell' argomento s'è occupato più di uno studioso, anche in anni non lontani (1) né è il caso di svilupparlo in questo momento, dacché non entra direttamente nel nostro tema. Sarà però da tener presente, anche per quel che riguarda il Brasile, il noto passo del poema camoensiano, in cui il poeta contrappone le "verdadeiras" gesta dell'epopea lusitana a quelle "fantásticas, fingidas, mentirosas" degli eroi d'Ariosto:
"Ouvi: que não vereis com vãs façanhas
Fantásticas, fingidas, mentirosas,
Louvar os vossos, como nas estranhas
Musas, de engrandecer-se desejosas:
As verdadeiras vossas são tamanhas,
Que excedem as sonhadas, fabulosas,
Que excedem Rodamonte e o vão Rugeiro,
E Orlando, inda que fora verdadeiro" (2).
In altre parole, si oppone la 'verità' di Os Lusíadas alla 'falsità' dell'epopea ariostesca.
Questi versi hanno contribuito a creare negli ambienti di lingua portoghese un clima di diffidenza verso l'Orlando Furioso. Si potrebbe certamente rilevare (e chi scrive ha cercato di farlo nel suddetto studio) che l'atteggiamento di Camões è assai più complesso di quanto non appaia a prima vista e, anzi, si rivela chiaramente consapevole dell'importanza dell'opera ariostesca. Si ricordi infatti, che le stesse obiezioni sono sollevate dal poema camoensiano a proposito di Omero e Virgilio. Alle loro "fábulas vãs, tão bem sonhadas", oppone Camões "a verdade que eu conto nua e pura" (3). Eppure, il poeta portoghese aveva già confessato di ambire la cetra omerica per cantare i propri eroi: "que de Homero / A cítara para eles só cobiço" (4). Così che le riserve fatte agli argomenti del canto dei grandi epici non impediscono Camões di riconoscere l'eccellenza del loro canto in sé stesso. Ebbene, lo stesso discorso serve a illuminare i rapporti tra Camões e Ariosto, come pure le parecchie reminiscenze ariostesche del poema camonensiano, reminiscenze a suo tempo indicate dai critici portoghesi. Ma lasciamo qui l'argomento, sia perché viene ripreso altrove, sia perché sta di fatto che l'epopea camoensiana, così come è stata generalmente interpretata dai lettori, ha avuto come conseguenza una presa di distanze dalla 'finzione' dell' Orlando Furioso.
Una tale prospettiva è stata determinante per le sorti della ricezione ariostesca in Portogallo, nei secoli XVII e XVIII, cioè nei secoli in cui dalla metropoli lusitana dipendeva anche il Brasile. Si deve inoltre ricordare che, a partire dal periodo tridentino, cresce in Portogallo, come in genere nell'Europa cattolica, l'attenzione verso la responsabilità morale dell'artista. Tale responsabilità escluderebbe ogni 'finzione' che rischiasse la 'menzongna'. Alla stregua di tali premesse erano inevitabili i sospetti contro l'Ariosto, aggravati dalla presenza, nel Furioso, di alcuni episodi considerati licenziosi. Ecco perché uno dei più grandi scrittori portoghesi del Seicento, l'oratoriano Manuel Bernardes, sconsiglia la lettura dell'Orlando Furioso ai cristiani desiderosi di perfezione spirituale. Bernardes lamenta che i tra i suoi contmporanei sia " "tão estragado o gosto que gostemos mais [...] de Orlando Furioso, do que do Pastor de noche buena" (5). La testimonianza è del resto importante, in quanto conferma que che l'opera ariostesca manteneva forte presenza nel Portogallo del Seicento, nonostante le censure, anche ufficiali (sin dal 1581 il poema vi era stato espurgato, per esigenza dell'Inquisizione) (6). Anzi, lo stesso Bernardes si confessa lettore dell'Ariosto, citandone perfino alcuni passi. È l'oratoriano portohese a dirci, nella sua Nova Floresta: "Ajuntemos, pois, esta fábula [...] com a que fantasiou, mais atrevido, Ariosto do ginete Rabicano, gerado só do fogo e do vento e pastando ar como camaleão" (7). Comunque, era ancora da venire il tempo di rivalutare pienamente la strada ariostesca e di riconoscere, con Fernando Pessoa, che "o poeta é um fingidor".
Chi dal Portogallo passasse alla letteratura del Brasile coloniale, vedrebbe che quelli che conoscono l'Ariosto mantengono verso il suo capolavoro le stesse riserve. Eppure, non mancano esempi di epopee brasiliane, a partire dal periodo secentista. Si può dire, anzi, che il genere epico sia stato tra i preferiti dai brasiliani, fino a tutto il Settecento. Ma l'Ariosto, salvo qualche spunto particolare, non si può dire tra i modelli ispiratori di tali epopee. Basterà a confermarcelo un esempio, tratto dai versi di un settecentista minore, João de Brito e Lima. Esaltando una rischiosissima sfida avvenuta tra nobili cavalieri, scrive il poeta che non avrebbe accettato una tale sfida nemmeno Bradamante. E aggiunge subito: quand'anche si trattasse di personaggio realmente esistito ("se houvera decerto Bradamante"):
"Como mantenedor chama arrogante
Aos cavaleiros, com notável brio,
E se houvera decerto Bradamante,
Não sei se lhe aceitara o desafio" (8).
È evidente la ripresa del solito tema della 'falsità' delle figure ariostesche. Sia detto per inciso che Brito e Lima forse fa confusione tra Bradamante e Brandimarte, ciò che confermerebbe la scarsa conoscenza diretta dell'Orlando Furioso nel Brasile coloniale.
Qualche lieve mutamento di prospettiva comincia ad osservarsi nel panorama della cultura brasiliana a partire dall'indipendenza (1822), anzi, a partire dall'equiparazione politica con la metropoli, ottenuta nel 1808, grazie alla presenza dei reali portoghesi, rifugiatisi in Brasile al tempo delle invasioni napoleoniche. Appunto a questo periodo appartengono le Preleções Filosóficas (1813), di Silvestre Pinheiro Ferreira. In questo manuale di filosofia hanno posto notevole le questioni estetiche e retoriche. Infatti, vi si trova l'elenco dei poeti la cui lettura si raccomanda come "indispensável" a chi voglia formare il proprio "Gosto" letterario. Tra essi, primeggia il nome dell'Ariosto, accanto a quelli del Tasso e di Milton (9). Almeno sul piano dell'eccellenza formale, dunque, la sua grandezza viene riconosciuta. Il riferimento, comunque, è generico e non dimostra familiarità con l'Orlando Furioso.
Bisognerà aspettare il secondo Ottocento per trovare, in Brasile, un lettore, anzi, un entusiasta del poema ariostesco. Si tratta di Araripe Júnior (1848-1911), uno dei padri della critica letteraria brasiliana. Araripe non nasconde l'ammirazione votata al "gênio do autor do Orlando Furioso", al "grão-mestre Ariosto". Né risparmia elogi all'opera che chiama "imortal poema", "poema sem igual". Dal Furioso, secondo Araripe, deriva tutto il romanzo ottocentesco, compreso quello popolare, d'appendice: "Tudo me leva a dar como assentado que o verdadeiro pai das formas do romance contemporâneo é o Ariosto. Foi ele quem, aprendendo com o povo a mentir, construiu a verdadeira retórica da ficelle" (10). Si noti che il tema dell' 'irrealtà' ariostesca viene qui ribaltato: la 'menzonga' dell'Ariosto altro non è che sviluppo della fantasia popolare, fonte dell'incantesimo dell'arte. Sono frequenti negli scritti del critico brasiliano immagini tratte dall'Orlando Furioso, e, ciò che è significativo, anche da episodi secondari. È il caso della storia di Orrilo, ricordata da Araripe con autoironia: "Quantas vezes não tive de correr atrás de minha própria cabeça, cortada e arrebatada por um gênio maligno, como aquele desgraçado Orrile do poema de Ariosto?" (11). Conviene poi ricordare anche la pagina polemica in cui paragona un altro grande critico ad Orlando impazzito che distrugge la foresta: "Descreve o Ariosto, em seu imortal poema, uma cena em que Rolando, enfurecido porque Angélica o traíra, lança de si a espada, despe-se da armadura, começa a desarraigar pinheiros e a destruir o que se oferece aos olhos apaixonados. As cóleras do Sr. Sílvio Romero, em certos momentos, fazem lembrar os arrebatamentos épicos do guerreiro de Roncesvalles" (12). I riferimenti ariosteschi di Araripe Junior sono particolarmente importanti perché quasi tutti appartenenti agli anni seguenti al 1880, cioè, quasi tutti anteriori alla traduzione portoghese della fine del secolo XIX, di cui in seguito si tratterà.
Pochi, però, sembrano spiritualmente vicini all'Ariosto quanto il più grande scrittore brasiliano, Machado de Assis (1839-1908). Il lavorio formale che ne caratterizza tutta l'opera, specialmente quella della maturità, e la sua ridente indulgenza (in cui s'è voluto vedere un larvato scetticismo) lo avvicinano al poeta dell' Orlando Furioso. Machado de Assis, inoltre, conosceva ed amava la letteratura italiana, specialmente Dante. Infatti, a lui si deve una pregevole traduzione del canto XXV dell'Inferno.
Machado, quindi, avrebbe potuto tradurre come nessun altro anche l'Orlando Furioso, poema che certamente conobbe. Difficile, però, è precisare in che misura lo conoscesse e quando lo abbia letto per la prima volta. Può darsi che abbia sfogliato un'antologia bilingue di poeti italiani, della quale fra poco si parlerà (13). Si direbbe, però, che la sua vera scoperta del poema ariostesco sia avvenuta tardi, quando si avviava alla conclusione del suo grande periodo di fecondità come romanziere. Effettivamente, l'unico riferimento ariostesco della narrativa di Machado de Assis si trova in un noto brano del suo capolavoro, Dom Casmurro. È la pagina in cui si descrive un' immaginaria visita dell'imperatore del Brasile alla casa di Donna Gloria, madre del protagonista, il ragazzo Bentinho. L'imperatore, con la sua autorità, riesce a dissuadere la signora dal destinare al seminario il ragazzo, innamorato di una ragazza del vicinato, la bella Capitù. Avendo descritto l'episodio, interviene il narratore per dire che neanche l'immaginazione dell'Ariosto è più fertile di quella dei bambini e degli innamorati: "Não, a imaginação de Ariosto não é mais fértil que a das crianças e dos namorados" (14).
A guardarlo bene, questo commento parte ancora dal tema tradizionale dell'Ariosto 'irreale'. Machado, però (come lo aveva già fatto Araripe) lo presenta in chiave positiva, di prodigiosa fantasia creatrice, pari a quella concessa dall'infanzia e dall'amore. Ma l'episodio della visita imperiale meriterebbe un commento a parte. Infatti, tutta ariostesca è la sua fattura, che riunisce 'realtà' e 'fantasia'. In questa immaginaria avventura, il Pedro II creato da Bentinho e da Machado de Assis diventa fratello del Carlomagno creato da Turpino e dall'Ariosto. Anzi, si può vedere in questo passare dalla 'realtà' alla 'fantasia' il centro di questo romanzo di Machado de Assis. Vi si trova probabilmente il segreto e la tragedia del protagonista, Bentinho, che, a torto o a ragione, si crederà tradito da Capitù, come tradito da Angelica si scoprirà Orlando, che appunto così impazzisce. Ma sarà per un altra occasione sviluppare queste idee.
Per quanto riguarda poi il momento in cui Machado si avvicina al poema ariostesco, si noti che Dom Casmurro è del 1899, mentre un anno prima era apparsa, in Portogallo, una traduzione in prosa del Furioso, opera di Xavier da Cunha. Questa, a sua volta, probabilmente echeggiava il rinnovato interesse della cultura francese per la lettura del poema, interesse al quale non sarà stato estraneo il Positivismo, (che, come è noto, dedica all'Ariosto uno dei mesi del suo calendario). A Parigi, nel 1878, era uscita una traduzione dell'Orlando Furioso, dovuta a Du Pays e illustrata dal grande Gustave Doré. Ma comunque se ne considerino i possibili legami con l'iniziativa francese, non sembra azzardato supporre che la traduzione portoghese in prosa, conosciuta anche in Brasile, abbia richiamato l'attenzione di Machado de Assis proprio mentre scriveva le pagine di Dom Casmurro.
L'ultimo Ottocento, poi, è il periodo di affermazione della Repubblica in Brasile (1889) e, con essa, del Positivismo che ne fu la base ideologica. Al prestigio degli scritti di Comte è da attribuire, nell'onomastica brasiliana, la discreta diffusione del nome del poeta e dei suoi personaggi (Orlando, Angelica, Alcina e altri ancora).
Modesta la presenza ariostesca tra gli scrittori brasiliani del XX secolo, anche se per questo periodo (come, del resto, per gli anteriori) manca qualsiasi indagine sistematica che permetta di trarre conclusioni più che approssimative. Semmai, si potrebbe spigolare qualche allusione. Importante, per esempio, l'ammirazione confessata all' Ariosto e al Tasso da uno dei massimi poeti brasiliani contemporanei, Manuel Bandeira (1886-1968). Bandeira afferma di essere rimasto, per qualche giorno, "encantado", grazie ad alcuni versi del Furioso, letti e citati in italiano (15). Parimenti notevole un breve ricordo ariostesco del creatore della letteratura infantile brasiliana, Monteiro Lobato (1882-1948). Lobato presenta l'Orlando Furioso come opera d'interesse anche per i lettori più giovani. L'osservazione si trova nel suo fortunato adattamento di Don Chisciotte (16).
Rare, e per di più sprovviste d'originalità, le voci della critica brasiliana contemporanea che si sono occupate dell'Ariosto e del Furioso. In genere, dopo un doveroso quanto astratto elogio, non si esce dalla vecchia interpretazione del tema dell' 'irrealtà', chiosato mediante qualche osservazione convenzionale. Esemplare, in questo senso, il caso di Otto Maria Carpeaux (1900-1978), studioso peraltro notevole. Il giudizio dato sull'Ariosto nella sua História da Literatura Ocidental (opera assai diffusa tra il pubblico brasiliano) sembra riallacciarsi frettolosamente alle parole attribuite al cardinale Ippolito d'Este (citate dal critico) che, come è noto, avrebbe definito il poema come un ammasso di "corbellerie" (17). Un esempio ancor più sorprendente ce lo dà un ciclo di conferenze sul Rinascimento, promosse a Rio de Janeiro dal Museo Nazionale di Belle Arti e in seguito pubblicate. Nonostante i conferenzieri illustri, l'Ariosto vi è pressoché dimenticato. All'Orlando Furioso neanche si dedica mezza dozzina di parole. Sarebbe uno dei tanti "romances cavaleirescos versificados" (18). Nient'altro.
Ai tanti motivi di 'sfortuna' dell'Ariosto in Brasile, si deve finalmente aggiungere un altro: l'assenza di traduzioni. Il lettore di lingua portoghese che intenda avvicinarsi al testo del poema dovrà accontentarsi di traduzioni in altre lingue, come quella classica, spagnola, di Jerónimo de Urrea, molto conosciuta in passato dai portoghesi. Primo tentativo importante di tradurre in portoghese l'Orlando Furioso pare sia stato quello di Alexandre Herculano. La sua traduzione, in versi sciolti, non è andata, però, oltre una trentina di ottave del poema (19). Dei lavori di tale traduzione è stato testimone eccezionale l'imperatore del Brasile, come risulta dal suo personale diario (20). Altri abbozzi di traduzione sarebbero andati perduti o rimasti inediti. Non c'è, dunque, che la citata traduzione prosastica fatta da Xavier da Cunha, opera (nonostante il benemerito sforzo del traduttore) talmente sgraziata e pesante da renderla non solo illeggibile, ma addirittura contraria all'arte dell'Ariosto.
Per quanto riguarda le traduzioni brasiliane, ci sono notizie, dopo un tentativo fatto nel primo Ottocento da Ludgero Ferreira da Lapa, di una traduzione in prosa del 1833, dovuta ad Araújo Susano. Siamo, in entrambi i casi, davanti a testi irreperibili. Alcuni brani del Furioso furono tradotti in ottave da un medico ligure, Luigi Vincenzo De Simoni, emigrato in Brasile durante il periodo risorgimentale. Il suo Ramalhete Poético do Parnaso Italiano (1843), antologia bilingue, che, come è stato detto, forse era nota a Machado de Assis, presenta, tra altri episodi ariosteschi, quello della fuga di Angelica. L'episodio è stato successivamente riprodotto, ma stranamente senza indicazione del traduttore, in alcune antologie poetiche brasiliane del secolo XX. Insomma, manca tuttora, in portoghese, non solo la traduzione, in versi, dell'Orlando Furioso, ma perfino la traduzione completa, in ottave, anche di un solo canto del poema.
Uno stimolo alla conoscenza dell'Ariosto in Brasile potrebbe essere, l'insegnamento universitario delle cattedre di Lettere Italiane, esistenti in alcuni dei principali stati della federazione brasiliana. Ma purtroppo proprio qui il panorama diventa cupo. Basti dire ciò che avviene nel Corso di Lettere Italiane dell'Università di São Paulo, il più antico e prestigioso del Brasile (si ricordi che negli anni trenta ne fu incaricato Giuseppe Ungaretti). Infatti, da alcuni anni vi sono state dimezzate le già scarse ore dedicate non solo ad Ariosto, ma in genere ai cinquecentisti e ai trecentisti (compreso, si badi, Dante). Parallelamente, si aumentavano in proporzionale misura le ore di pratica di conversazione. La decisione (segno dei tempi) è stata avallata dagli organi accademici superiori: unico voto contrario, quello di chi scrive.
In questo panorama non certo promettente s'inserisce, in conclusione, il recente tentativo di divulgare in Brasile la grande poesia dell'Orlando Furioso. Si tratta di una traduzione, in ottave, dei primi sette canti del poema e di alcuni dei suoi passi più conosciuti (il palazzo d'Atlante, la pazzia d'Orlando, il viaggio d'Astolfo, ecc.). C'è il progetto di arrivare alla traduzione integrale del poema (difficilmente avverabile date le difficoltà d' ogni sorte), ma ciò che si può offrire adesso è l'invito alla lettura del capolavoro ariostesco. Un invito rivolto al pubblico di lingua portoghese, ormai la terza lingua occidentale, per importanza demografica. Se e in quale misura l'iniziativa potrà contribuire alla conoscenza del capolavoro ariostesco, solo il futuro potrà rivelarlo. In ogni caso, si potrà sempre dire al lettore brasiliano quel che diceva l'Ariosto al cardinal d'Este: "né che poco io vi dia da imputar sono / che quanto posso dar, tutto vi dono".
Note
(1) Per tacere di opere meno recenti, sono da ricordare gli studi di José da Costa Miranda, "Ainda sobre Camões e Ariosto", Arquivos do Centro Cultural Português, XVI, 1981, p. 777-84 e quello di Luciano Rossi, "Considerações sobre Ariosto e Camões", Brotéria, novembro de 1980, vol. 111, p. 378-92. Ma specialmente sui rapporti tra Camões e Ariosto qualcosa cerca di dire pure il mio studio citato, che avrà come titolo "Poesia e loucura no Orlando Furioso".
(2) Cfr. Camões, Os Lusíadas, I, 11.
(3) ibid., V, 89 (cfr. anche 87-88).
(4) ibid., I, 12.
(5) Cfr. Padre Manuel Bernardes, Estímulo prático, exemplo XV, moralidade, p. 123, edizione del 1730, riprodotta come volume X delle Obras Completas do Padre Manuel Bernardes, parte della "Biblioteca Facsimilar de Autores Clássicos" (São Paulo, Editora Anchieta, 1946).
(6) Cfr. Maurice Chevalier, Arioste en Espagne (1530-1650), Bordeaux, Institut d'Études Ibériques et Ibéro-Américaines de l'Université de Bordeaux, 1966, p. 447-8
(7) Nova Floresta, IV, "Dádivas, Liberalidade", II (ed. Lello, Porto, 1949, IV, p. 278; cfr. Obras Completas, cit, vol. IV, p. 267.
(8) Citato da J. Aderaldo Castello, O Movimento Academicista no Brasil (São Paulo, Conselho Estadual de Artes e Ciências Humanas, 1978, III, 6, p. 100).
(9) Silvestre Pinheiro Ferreira, Preleções Filosóficas. São Paulo, EDUSP e Grijalbo, 1970, p. 268.
(10) Araripe Júnior, Obra Crítica, Ministério da Educação e Cultura, Casa de Rui Barbosa, Rio de Janeiro, 1958, vol. II, p. 30-31.
(11) id., op. cit., vol. I, p. 284.
(12) Id., op. cit., vol. III, p. 318.
(13) L'ipotesi (che non riguarda però specificamente l'Ariosto) è di Edoardo Bizzarri, in Machado de Assis e a Itália. São Paulo, Instituto Cultural Ítalo-Brasileiro, 1961, p. 22 e seg. Lo studio è stato riprodotto in Novos Cadernos dell' Instituto Cultural Ítalo-Brasileiro (n. III, 1988).
(14) Machado de Assis, Dom Casmurro, cap. XXIX.
(15) Cfr. Mário de Andrade e Manuel Bandeira, Correspondência, org. por Marcos A. Moraes. São Paulo, EDUSP e Instituto de Estudos Brasileiros, 2000, p. 103.
(16) Monteiro Lobato, Dom Quixote das Crianças, cap. II. L'opera, del 1936, è stata ripetutamente ripubblicata.
(17) Otto Maria Carpeaux, História da Literatura Ocidental. Rio de Janeiro, O Cruzeiro, s.d., vol. I-A, p. 465-468.
(18) Cfr. Antonio Carlos Villaça, "A Literatura no Renascimento", in Edson Motta (org.), O Renascimento. Rio de Janeiro, Agir, 1978, p. 37.
(19) cfr. Giuseppe Carlo Rossi, La letteratura italiana e le letterature di lingua portoghese, Torino, Società Editrice Internazionale, 1967, p. 92).
(20) Cfr. Heitor Lyra, História de Dom Pedro II, Belo Horizonte, Itatiaia e Editora da Universidade de São Paulo, tomo II, p. 179